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La “sindrome di Luca Banchi”
Cos’è la “sindrome di Luca Banchi”? E’ un “malattia” che ha investito il sottoscritto, derivante dall’unico disallineamento intellettuale vissuto in città, riguardante un allenatore di basket. Luca Banchi (34enne ndr.) nel 99/2000 aveva messo in scena la più bella squadra del dopo Stefanel, con i vari Maric, Rowan, McRae per una prima stagione in serie A di alto livello. Un promettente coach che raccoglieva domenicalmente il frutto di un lavoro eccellente in palestra, ben oltre l’orario dell’orologio. L’annata successiva si scontra con una chimica nel gruppo inesistente, un tasso qualitativo ridotto e una crisi acuita da una pressione mediatica notevole sul timoniere; contro Cantù al PalaTrieste il punto più basso, una “esecuzione sommaria” che vede licenziare il coach toscano a favore di Cesare Pancotto. Ecco, al tempo, ero l’unico stolto a dispiacermi per una competenza illuminata che lasciava Trieste, soprattutto perché non capito fino in fondo dalla piazza. Torna nella “sua” Livorno per cominciare una umile ma decisiva risalita, nel Gotha degli allenatori italiani, prendendosi anche corposi meriti nei successi del collega Simone Pianigiani. Avete già capito dove vado a parare. Marco Legovich è stato messo evidentemente a capo della prima squadra cittadina anche per esigenze economiche, ma sulla stregua di una profonda gavetta sotto l’egida di coach Dalmasson e sulla scia di una “santificazione” unanime degli addetti ai lavori. Un trent’enne di enorme conoscenza tecnica, allineato con la nidiata di giovani “scienziati” della materia, supportato da una tecnologia sempre più spinta. Dimostra personalità, esce dalle sabbie mobili di un inizio di campionato che avrebbe tramortito un bue, dando identità al gruppo (scarso). Paradossalmente, nel momento di poter operare per rinforzare la squadra, le scelte sbagliate (certamente parte integrante delle responsabilità del coach) hanno sgretolato l’impianto generale, sfilacciato un gruppo apparso coeso, frastagliando anche il concetto di unità d’intenti; da quel momento si vede un’altra versione della Pallacanestro Trieste, fatta di tanti solisti e da un nucleo italiano solido, purtroppo poca cosa per mantenere la categoria. Coach Legovich si è dimostrato meno intraprendente ma mai fuori contesto, ha gestito male un paio di partite chiave, pur recuperando in extremis (vedi Verona). Il risultato in terra latina fa giurisprudenza eccome, la retrocessione sbilancia pesantemente l’umore della piazza verso la volontà di non confermarlo sulla panchina. Io credo invece che un investimento abbia bisogno di tempo, quindi la società dovrebbe guardarsi allo specchio e decidere: ho tempo per far maturare codesto investimento o necessito di fare risultato immediatamente? La conseguente risposta determina la scelta, confermarlo anche a costo di andare come i salmoni controcorrente (mediatica) o cercare un uomo di provata esperienza per tentare il grande salto il prossimo anno. La via di mezzo sarebbe l’ennesima sanguinosa, diplomatica, fastidiosa, inutile mossa “catenacciara”, costruendo una squadra di livello in mano ad un giovane coach, con la piazza dal dente avvelenato e pronta ad asfaltarlo alle prime problematiche stagionali. Quindi, o si va in serie A… o resto con la “sindrome di Banchi”.
Raffaele Baldini