L’anti-complotto 1: non si è perso per fischi arbitrali

Anche nell’aprire l’uovo di Pasqua, come sorpresa ho trovato il compendio del “passo zero”. A parte gli scherzi, prescindendo dalla fischiata (con annesso tecnico) che ha rimesso l’inerzia in mano ai trentini, nessuno può negare il fatto che la terna arbitrale, nel secondo tempo, abbia perso il controllo della partita. “Merito” di Trento, che sicuramente creerebbe situazioni tese in ogni dove per il tipo di difesa al limite del fallo; condizione, l’ho già detto più volte, vissuta a Trieste con il “metodo Dalmasson”.  Chi vince festeggia, chi perde spiega… e la Pallacanestro Trieste dovrebbe spiegare a se stessa come mai, in diverse occasioni analoghe, è sempre arrivata dopo in termini di aggressività. Coach Christian dopo Venezia ha detto: “Dobbiamo imparare dalle sconfitte”, in realtà non sembra che lui e la sua squadra abbiano assimilato il concetto affrontando Trento. Peraltro, la sfida di sabato sera non è stata nient’altro che l’antipasto (si spera) di quello che saranno i playoff…ma in questo senso, anche sulla stregua della scorsa stagione, penso che gli americani abbiano ben presente come si debba cambiar registro.

L’anti-complotto 2: due indizi non fanno una prova…

Due indizi non fanno una prova, soprattutto perché Venezia e Trento rappresentano due delle più brillanti compagini (in senso allargato, non di classifica ndr.) della nostra serie A. Dalla decisione di coach Christian di lasciare la Pallacanestro Trieste per la Bryant University (come già detto, di questo parlerò a stagione finita), Trieste ha di slancio battuto nettamente Napoli, per poi perdere la bussola contro Venezia e Trento. Troppa la considerazione umana, prima che cestistica, verso gli elementi che compongono il roster per far albergare dentro di me il concetto di una destabilizzazione riflessa. Non vedo come docenti della materia come Brown, Brooks, Uthoff, Ruzzier possano sgretolarsi di fronte ad una scelta che è bagaglio del professionismo, a maggior ragione di quello contemporaneo. Solo in un caso posso pensare all’incrinatura che diventa crepa, quando il rapporto fra allenatore e giocatore è logoro da tempo; nella fattispecie penso che non ci siano “mali di pancia” evidenti, se non (forse) quello di Luca Campogrande. Il terzo indizio? Cremona…

L’anti-complotto 3: il lancio delle bibite non è “disciplina” accettata dal CONI

Stigmatizzare il lancio della bottiglietta d’acqua o della birra sul campo da gioco è un esercizio talmente scontato che, rimarcarlo, sarebbe un insulto all’intelligenza di tutti. Così come è corretto rimarcare come per due “eroi” (come chiamava Matteo Boniciolli gli aggressori di Cavaliero della “Fossa” bolognese), non si possa mettere in croce 6000 persone, le stesse che hanno abbracciato con calore Federico Franceschin, che hanno esaltato la prestazione di Trento, gli stessi che hanno applaudito diverse volte i propri beniamini dopo un errore. Scindiamo perché è giusto farlo, sottolineando che la bottiglietta o il bicchiere, non hanno colpito gli arbitri, la categoria o la squadra avversaria, hanno colpito la NOSTRA proprietà americana, quella che consuma ogni ora, ogni giorno, ogni settimana, ogni mese per portare educazione sportiva, dentro e fuori il Palatrieste. Il dissenso è previsto, fatto di fischi… e vi assicuro che 6000 fischi fanno più rumore di una sorda bottiglietta d’acqua o di un bicchiere di birra.

L’anti-complotto 4: condizione fisica… mascherata?

Qualche complottista propenderebbe per alcuni giocatori in debito di energie per la carta d’identità datata. Markel Brown e Jeff Brooks in particolare, leader naturali che stanno attraversando un momento di “scarico”. C’è però un vissuto che potrebbe essere utilizzato come tesi contraria: la scorsa stagione, di questi tempi, la Pallacanestro Trieste si stava “smaterializzando” in vista della post-season, lasciando credere alle contendenti, di essere ormai un ectoplasma. Filloy e soci in realtà stavano solo mascherando quello che divenne poi la più incredibile metamorfosi di una squadra di pallacanestro sotto San Giusto. C’è sempre un margine di rischio nel fare questi “calcoli”, a maggior ragione se si gioca in serie A e con un obiettivo da centrare, è anche vero che il “new-deal” americano non è mai mancato di coraggio in tal senso, a costo di andare contro l’intendere comune di una piazza. Staremo a vedere, perché è necessario oggi anteporre l’importanza del risultato rispetto a qualsiasi filosofia proiettata nel tempo.

Raffaele Baldini

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