La paura fa novanta, la sconfitta fa…84
Ormai lo hanno capito anche i muri, le squadre allenate da coach Dalmasson se subiscono piu’ di 75 punti non hanno la benche’ minima possibilita’ (o perlomeno pochissime) di portare a casa la vittoria; si, perche’ il credo dell’allenatore veneto si fonda su una corale e volitiva fase nella meta’ campo “di fatica”, per poi raccoglierne i frutti offensivamente. Questa volta l’approccio e’ stato da squadra scollata, atteggiamenti passivi a partire dal reparto guardie, che a stento sono riuscite a tenere un palleggio di penetrazione degli avversari e un Mescheriakov che onestamente si fa fatica ad abbinare difensivamente, lento per un “4” avversario, debole fisicamente per un “5”. Il problema e’ che quest’anno le caratteristiche del roster non sono comuni, al gia’ citato Mescheriakov fa il palio un Brown che mai si ammazzera’ difensivamente, le gambe di Ruzzier (o la testa?) facevano fatica a stare dietro ai play in DNA, figuriamoci in Legadue. Poco male, non e’ dai singoli che Dalmasson deve trarre beneficio ma dalla volonta’ degli stessi di aiutarsi per la causa, in questa categoria non si puo’ vivere solo di serate negative altrui, bisogna metterci del proprio…e tanto!
Le due facce di un atteggiamento: Jobey Thomas e Brandon Brown
Purtroppo nella partita contro Brescia l’Acegas non ha messo in mostra come contro Imola le certezze su cui si e’ fondato il mercato estivo, qualcuno (oltre che qualcosa) e’ mancato, ma prima ancora nell’atteggiamento che nelle questioni tecnico-tattiche; la nota lieta si conferma Jobey Thomas, giocatore eccezionale per orgoglio e ardore agonistico, la guardia di Charlotte e’ stato l’ultimo a morire e per alcuni tratti del match sembrava che da solo riuscisse a trascinare l’Acegas ad una rimonta. L’altra faccia della medaglia “straniera” ha la prestazione negativa di Brandon Brown, dalla matrice chiara e duplice: la prima colpa e’ del giocatore stesso, un leader come lui non puo’ girare al largo del canestro, senza avere perlomeno la cattiveria di aggredire (in senso sportivo) l’avversario, il linguaggio del corpo oltre lo schermo TV e’ stato quello di un cestista che si lascia trascinare dalle infauste sorti della partita. La seconda chiave di lettura e’ riferita ai compagni: da che mondo e mondo un giocatore d’area o comunque di stazza DEVE essere coinvolto con discreta regolarita’, altrimenti lo perdi come attaccante e poi anche come difensore; nessuno e’ stato in grado di servire palloni giocabili, alla lunga far blocchi a ripetizione spegne qualsiasi interruttore.
Non eravamo fenomeni prima, pero’ due segnali negativi devono far pensare
Tuffiamoci senza salvagente nel magico mondo dei luoghi comuni… “non eravamo fenomeni prima, non siamo brocchi adesso”, cosi ci siamo tolti questo dovere giornalistico-sportivo. Pero’, senza cadere nel disfattismo tipico triestino, un ragionamento e’ doveroso farlo: l’Acegas a pochi minuti dal termine della prima di campionato era sotto di 5-6 punti contro una Imola senza uno straniero, a Brescia prende un’imbarcata gia’ nel primo quarto; calcolando che Imola e Brescia venivano considerate fra le meno strutturate della categoria, allora un campanellino d’allarme sorge, debole ma legittimo.
Sono completamente d’accordo con il coach veronese Ramagli il quale sosteneva in tempi non sospetti che questo campionato di Legadue mettera’ a posto le gerarchie dopo 5-6 giornate, non prima, per cui, allineandomi con questo pensiero, pongo l’inizio di stagione acegatino come un dato di fatto senza cercare per forza reconditi significati, gia’ il prossimo turno doppio in casa potrebbe dire molto di piu’.
Mancanza di profondita’ offensiva, torna il problema nelle serate no al tiro
Grazie a Dio la pallacanestro non e’ il tiro a segno del Luna Park, per cui avere 5 giocatori dietro l’arco dei 6,75 che mirano un cesto con una palla a spicchi puo’ essere esercizio assolutamente inutile alla causa; inutile in primis perche’ le difese avversarie hanno perfettamente presente che quella della linea da tre punti e’ una sorta di linea Maginot, oltre la quale l’attenzione e’ massima e entro la quale si puo’ pensare di costruire una vittoria concedendo qualcosa che non c’e’. Purtroppo e’ cosi, Gandini e’ un superbo docente difensivo ma in attacco e’ da sempre un complemento al sistema, Brown e Mescheriakov prediligono l’allontamento dal ferro, ed ecco il deserto dei tartari nell’area pitturata, quale comodo assist per le avversarie per difendere in porzioni di campo lontane dalla stessa. Anche qua non scopriamo l’acqua calda, lo sapevamo dall’inizio che mancava qualcosa al roster attuale in termini di uomini d’area, e quando la serata al tiro traccia sinistri connotati, ecco acuita questa deficienza biancorossa.
Tifosi e Palatrieste, l’occasione giusta per avere il sesto uomo
Oh, premessa d’obbligo: e’ in queste occasioni che la societa’ Pallacanestro Trieste 2004 (e qualunque altra) si dovrebbe rendere conto di cos’e’ anche la tifoseria: in un giorno feriale un manipolo di aficionados ha organizzato totalmente a proprio carico (una cinquantina di euro l’esborso a persona) la trasferta a Brescia, compresa di noleggio pulmino e quant’altro, sobbarcandosi chilometri su chilometri, avendo in risposta quaranta minuti di scoramento sportivo, tenendo ben alti i vessilli e incitando anche alla fine i propri colori! Si cerchi da parte degli ingessati depositari del potere societario di capire come il coinvolgimento DEVE essere in relazione biunivoca, cioe’ da ambo le parti con lo stesso interesse per il bene della pallacanestro. A margine di tutto cio’ ora arriva un doppio impegno casalingo che, soprattutto nel primo caso, e’ il miglior assist per scatenare la voglia di rivalsa giuliana: arriva Ferentino, proprio la squadra che sembrava mortificare i sogni di promozione lo scorso anno in dna vicendo il turno di finale proprio contro la Trieste di Dalmasson; una rivalita’ forte, sul campo e sugli spalti che dovrebbe generare un richiamo spontaneo alla “Mecca” del PalaRubini. Per tutto quanto sopra esposto, il calore del PalaRubini potrebbe realmente essere l’ “uomo” in piu’ che serve alla squadra per limare i gap tecnico-tattici, anche perche’ da sempre buona parte dei campionati se li mettono in cassaforte fra le mura amiche.
Raffaele Baldini (www.cinquealto.wordpress.com)
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