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Analisi del giorno dopo: la favola di Bossi, la redenzione di Campogrande e quei segnali così forti con voglia infinita di serie A

Come in una favola…

Ma esiste uno sport più bello della pallacanestro? Vi aiuto io… NO! Un triestino che “sta al suo posto”, che lavora duramente tutta la settimana, che è parte integrante di un gruppo ma che per esigenze tecniche è costretto come un leone in gabbia a tramutare l’ardore agonistico in incitamento ai compagni. Arriva la partita più importante della stagione, gettato nella mischia… vince quasi da solo la partita con triple siderali di assoluta blasfema strafottenza. Stefano Bossi ha vissuto la più bella favola della sua vita, quelle parabole infinite da oltre l’arco dei tre punti guidate dalla volontà di non permettere che il destino trascini in serie A2 la squadra della sua città. Lui e i “fratelli” Michele e Lodo; cercate in tutta la serie A delle ultime decadi, se esiste una trazione locale così forte a decidere le sorti di un match. La prestazione di Stefano Bossi è un trattato di cultura sportiva, di etica, un insegnamento per chi perde tempo in sciocchezze pubblicate su Instagram o in leggerezze per buttare nel cesso una carriera. C’è qualcosa di veramente unico in quello che abbiamo vissuto ieri, c’è qualcosa o qualcuno dall’alto che ha guidato Bossi… forse un’idea ce l’ho, e anche Stefano ce l’ha.

Quella luce è diventata faro abbagliante

Esiste un’altra forma di indennizzo sportivo, quella legata a Luca Campogrande. Anche lui ragazzo che non ha mai alzato la voce, sempre rimasto al suo posto e dedito al recupero di sé stesso e della sua pallacanestro. Dopo tanta polvere masticata in un percorso tortuoso, arriva quel momento per cui uno sportivo lavora da sempre: una palla che entra nella retina, accompagnata dal boato di 6000 tifosi. Campogrande contro Verona però ha fatto di più, ha difeso magistralmente: rapido di gambe, sgusciante sui “blocchi”, e fisicamente facendo sentire il corpo al diretto avversario. Prestazione sontuosa.

Qualitativamente inferiori, stanchi ma con un’anima

I quaranta minuti giocato al Dome ieri sono la cartina tornasole di cosa è Trieste (o quello che resta). Approccio difensivo per dettami tecnico/tattici e intensità al limite della perfezione, viatico ad un fluido sistema offensivo grazie al solito Michele Ruzzier. Poi la coperta si fa corta, cortissima, le gambe sono più stanche e la difesa quindi apre le maglie, Bartley torna a marcarsi solo e i terminali credibili sono pochi. Quando parlavamo del fondamentale apporto della panchina, ecco che prima Alessandro Lever (pazzesco e “offuscato” solo dalle clamorose prestazioni di Bossi e Campogrande), poi Bossi e Campogrande creano la benzina extra per rilanciare il motore biancorosso. Ora si va a Brindisi con tre giocatori “nuovi”, rinnovati nello spirito e nell’autostima, è possibile allungare quella coperta che era filo interdentale, in una minigonna sexy almeno…

Mentalità

“Conquistare” ha nell’etimologia della parola il senso di ottenere qualcosa adoperandosi intensamente. La Pallacanestro Trieste DEVE andare in Puglia con l’idea di CONQUISTARE la serie A vincendo al PalaPentassuglia di Brindisi, senza guardare ai risultati delle “altre”. Operazione improba? Sicuro, anche perché la società del Presidente Marino ha visto restituito Perkins in una sentenza (l’ennesima) che lascia perplessi. Non ci saranno i 6500 dell’Allianz Dome, ce ne saranno molti di più nelle proprie case a spingere con il cuore i propri beniamini oltre l’ostacolo.

Bel segnale

La presenza del Presidente Richard De Meo, dell’avvocatessa (nonché vice-presidentessa) Fitzann Reid e dell’emissario indiano/canadese (totalmente immerso nella festa pre-partita della Curva Nord), è un segnale importantissimo per il futuro. Non è scontato che dagli States, non proprio quindi da Muggia, gli emissari del “Cotogna Sports Group” hanno sempre fatto sentire la presenza attorno alla squadra, si sono fatti vedere e sentire (sempre con educata distanza), hanno dimostrato interesse. C’è bisogno di solide certezze in un momento complicato, anche con un possibile epilogo drammatico (non vogliamo neanche dirlo); la storia di Trieste è ricca di discese all’inferno ma anche di grandi resurrezioni. Basta avere un progetto e idee chiare.

Gemellaggio consolidato oltre ogni avversità

Nello sport dei paesi latini non c’è spazio per petali di rose e sonetti, bensì spesso (purtroppo) si ha a che fare con “opposte fazioni”, nell’accezione più violenta del termine. La partita fra Trieste e Verona, scontro salvezza fratricida, poteva essere un forte elemento per sfilacciare il solido cordone teso che lega le due tifoserie, un gemellaggio di vecchissima data, presente anche nel calcio. All’inizio non vi erano troppi dubbi sul clima fraterno sugli spalti, poi, con l’incedere del match e soprattutto con il drammatico epilogo, che ha visto la retrocessione di Verona, poteva essere diverso. Invece cori reciproci, il pubblico del Dome ad andare a stringere le mani e ad augurare un pronto ritorno in categoria agli scaligeri e un coro da parte degli sconfitti pro-Trieste che vale tantissimo. Bella pagina.

Raffaele Baldini

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