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Analisi del giorno dopo: difesa “saracinesca”, tutto il fascino del basket oltre i due punti e le Final Eight alla TV

Dicevamo della difesa e della convinzione di essere una squadra adatta

Dopo Reggio Emilia sottolineavo come ci potessero essere i prodromi per una definitiva consacrazione del gruppo in chiave difensiva. Elementi con caratteristiche tali da esaltare il concetto di difesa tanto caro a coach Dalmasson. Ebbene, alla Unipol Arena è andato in scena il secondo atto, quello con gli effetti speciali, battendo la Fortitudo Bologna per la prima volta nella storia a domicilio (l’anno del canestro di Nelson era serie A2 ndr.), qualificandosi per le Final Eight di Coppa Italia. Ali e lunghi dalle gambe dinamiche che tengono l’uno contro uno avversario, chiusure puntuali vicino al ferro e verticalità ritrovata con Upson sempre più incisivo; è tornata anche quella fisicità espressa nella cavalcata vittoriosa in serie A2, c’è sincronia nell’arginare il pick and roll, tanto che Adrian Banks ha avuto vita dura. Se torna la voglia di faticare ai “moretti” in maglia Allianz, la stagione può svoltare veramente.

La chimica, la psicologia e tutto il fascino della pallacanestro

Sostengo da sempre che la pallacanestro non è solo una palla a spicchi che entra in un cesto, anzi, forse è l’ultima parte di un discorso ben più complesso. C’è chimica, c’è psicologia, c’è lo smisurato ego dei protagonisti che deve per forza di cose trovare un dialogo nel contesto di gruppo, creando un linguaggio di squadra che può essere comprensibile o meno. Nell’Allianz Trieste a Bologna si è visto tutto questo. La chimica positiva di un gruppo che maschera le défaillances degli americani Doyle ed Henry, la psicologia di quell’abbraccio a Laquintana dopo la tripla contro Reggio e che restituisce un giocatore decisivo con Bologna, o quella che libera la testa di Upson sulla dipartita di un compagno di reparto ingombrante come Ike Udanoh. C’è la forza morale del nucleo storico composto da capitan Coronica, da Da Ros, da Cavaliero, che ne hanno viste e vissute di tutti i colori, ma che non le hanno mai subite.

Letteratura dalmassoniana: un “cult” che non smette di appassionare

“Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha” canta Vasco Rossi, una poetica musicale che ben spiega il fenomeno Eugenio Dalmasson, il più surrealista degli allenatori della massima serie. Negli anni attorno alla sua figura si è creata una vera spaccatura filosofica: i dalmassoniani, gli antidalmassoniani, scrivendo pagine e pagine di interpretazioni cestistiche e non, passando proprio da letture metafisiche a quelle surrealiste, man mano che il soggetto principale “asciugava” la comunicazione con l’esterno, riducendola al minimo. Tutti armati di elmetto e scudo, con motivazioni plausibili, pronti a scatenare l’assalto dopo una vittoria o una sconfitta. C’è chi si infastidisce di fronte a questo dibattito, io invece lo vedo come il più sano confronto sportivo per cui vale la pena appassionarsi domenicalmente. Oggi i dalmassoniani portano il proprio scudiero sul trono sbandierando il vessillo delle Final Eight conquistate dopo 19 anni; i detrattori assaltano virtualmente il Dome con gigantografie di Grazulis, Upson, Doyle quali icone di un trionfo. Insomma, Don Camillo e Peppone, destra e sinistra, Giulia Salemi e Elisabetta Gregoraci (non vi aspettavate questo scadimento di tono vero?); l’Italia è quella che si nutre di polemiche a distanze, “baruffe chiozzotte” di goldoniana memoria trasferite allo sport.

Final Eight da sogno, peccato per la tifoseria…

Se le Final Eight rappresentano un premio all’ascesa della Pallacanestro Trieste degli ultimi anni, nessuno come il popolo di tifosi biancorosso meritava di sedere al Forum di Assago per godersi l’evento. La crescita del sodalizio biancorosso è un percorso virtuoso anche figlio della passione che anima la città. Il “Red-Wall” ha scritto brani di follia collettiva attorno alla palla a spicchi, ha supportato giocatori in crisi, ha esaltato campioni in rampa di lancio, ha condiviso sconfitte e successi. Tornare alla fase finale di Coppa Italia dopo 19 anni senza di loro è uno sfregio difficile da accettare, un destino cinico e baro che lascia un pizzico di amaro in bocca. I tanti pullman resteranno fermi al parcheggio, striscioni e bandiere ammainati, i divani saranno “sold out”. Il popolo biancorosso saprà adeguarsi all’emergenza sanitaria, trasferendo la passione sportiva attraverso onde emotive così violente da propagarsi sino al Forum di Assago.

Raffaele Baldini

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