Guardo la Germania campione del mondo, guardo l’orgoglio della Serbia, penso e ripenso alle due finaliste… ed ho la fortissima impressione che qua non è una mera questione di “materiale umano”; nell’evoluzione contemporanea della pallacanestro c’è una parola che fa la differenza: mentalità.

Nella Germania campione del mondo c’è la mentalità di un paese che ha fortemente voluto emanciparsi nel basket ristrutturandosi silenziosamente dal basso, importando competenze di livello, investendo. Mentalità da paese che storicamente non ama essere subordinato. Mentre in Italia si studia a come far rendere brillante un ottavo posto, in Germania si lavora per l’eccellenza; mentre nel nostro paese i cosiddetti talenti giocano scampoli di serie A, nel mondo teutonico vengono esaltati e messi in vetrina. Mentre nel paese della Bundesbank si crescono i frutti dell’integrazione (Schroeder è nato a Braunschweig, Maudo Lo a Berlino e Isaac Bonga a Neuwied), nel nostro paese si cerca di coprire le debolezze con una foglia di fico cercando passaporti improbabili con rivedibili viaggi negli States.

Purtroppo siamo e saremo quelli delle improvvisazioni, dei risultati conquistati per una serie di fortunate coincidenze, della politica quale motore grippato di un immobilismo strutturaleNon siamo un popolo adatto alle rivoluzioni, eccelliamo per una innata capacità di vendere una “crosta” come un capolavoro d’arte (nel calcio poi non ne parliamo…), siamo fuoriclasse nel farci scivolare tutto addosso. Siamo quelli che hanno perso dei mesi dietro a Paolo Banchero mentre la Serbia cercava 12 giocatori utili per il Mondiale (arrivando poi in finale!), siamo quelli dell’acqua santa di Trapattoni o delle minacce (scherzose) di suicidio del Poz. Finchè ci faremo andare bene un ottavo posto non avremo la mentalità per scuoterci di dosso questo fastidiosissimo declassamento sportivo, cestisticamente parlando.

Non è un caso che la mentalità declinata in modo sbagliato ha fatto deragliare grandi potenze come gli USA e la Francia. Entrambe spesso specchiate dietro le loro beltà, entrambe presuntuose nell’affacciarsi a queste competizioni, pagano lo scotto di chi come Germania, Serbia, ma anche Lettonia, Lituania, mettono l’orgoglio nazionale e la voglia di farsi riconoscere prima di qualsiasi altra cosa. Gli USA soprattutto vivono da sempre la sindrome del “4 di coach K”, cioè la famosa sala stampa in cui un santone come Mike Krzyzewski non riconobbe il suo carnefice, un certo Theo Papaloukas.

Ci stiamo parlando sopra… me ne rendo conto, nella nazione in cui imperano la politica e la Città del Vaticano non potremo avere rivoluzionari degni di questo nome, perché il sistema li schiaccerebbe inesorabilmente. Vedremo quindi tanti “illuminati” rompere le catene e uscire dalla “gabbia”, da Andrea Trinchieri e Luca Banchi, tornando allenatori ma soprattutto professionisti migliori. Anche qui, una mentalità forte creerebbe le condizioni per scegliere il nostro paese, non prendere atto (magari additando gli “ingrati”) guardando a quello che propone la casa.

Se guardiamo con soddisfazione l’ottavo posto al Mondiale stiamo guardando il dito… e non la luna.

Raffaele Baldini

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