Ciao Ben, ti devo tanto della mia passione per il basket…

49550324_2369086549777690_7754401889143226368_nAvere 11 anni, sedersi con gli occhi pieni di curiosità sugli alti gradoni della curva di Chiarbola, aspettando le gesta della “coppia insolita” Ben (Benjamin nome di battesimo) Coleman e il “marines” Tim Dillon, la Stefanel Trieste che cominciava ad emanciparsi nella pallacanestro che conta. Per l’amor del cielo, la brillante versione del playmaker tascabile tutto fosforo e rapidità di Fischetto ti riconciliava con uno sport di norma poco democratico per quello che concerne l’altezza, ma quell’omone nero da Minneapolis, con la collana più luccicante del mondo al collo (allora si potevano tenere ndr.) e il petto in fuori richiamava l’attenzione per il suo debordante talento. Prototipo del lungo moderno, in grado di palleggiare fra le gambe in area pitturata come un esterno lasciando poi la palla con sensibilità pianistica. La stagione 1985 è un capolavoro assoluto, in coppia con Dillon fa impazzire Trieste: innescata da Fischetto, gestita dal grande Gianni Bertolotti e difesa dalla torre Lanza e dal ruvido Ezio Riva la Stefanel fa divertire e arriva 12a. L’americano porta talmente bene i 206 centimetri sui 28 metri di parquet che non passa inosservato all’NBA; saluta Trieste e va a Phila, dove avrà un impatto modesto. Ad un certo punto si materializza in città la più romantica delle situazioni (perlomeno nei presupposti): la squadra va male, fatica e non convince. Chiarbola grida ogni domenica “Ben Co-le-man…Ben Co-le-man…”, e in un pomeriggio di metà stagione la società regala il sogno ai propri tifosi di riportarlo a casa. Lui non è quello della prima volta, la “minestra riscaldata” riporta un giocatore viziato, distratto da situazioni extra-campo e in difficile co-abitazione con l’altro straniero mancino Craig Shelton. L’idillio svanisce pur registrando prestazioni comunque sufficienti, ma quei brani di pallacanestro sublime scolpiti nella mente di un ragazzino di 11 anni, resteranno impressi nella colonna sonora di una vita cestistica.

“Big Ben” ha detto stop, in un ospedale di Minneapolis si spegne l’esistenza del primo grande idolo dopo Rich Laurel. Se oggi io fremo, mi emoziono, mi esalto e vivo l’imponderabile della pallacanestro, è tanto grazie a Coleman. E quella foto con mio fratello e l’omone nero dalla collana sfavillante, avrà sempre un posto di riguardo nell’archivio personale dei ricordi.

Thank you Ben!

 

Raffaele Baldini

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Pubblicato il gennaio 7, 2019, in BASKET TRIESTINO, HighFive, News con tag , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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