Impianti di serie A, specchio del movimento. Allianz Dome? Bello ma…
Fonte: Il Piccolo a cura di Raffaele Baldini
Parliamo dell’arretratezza del movimento cestistico italiano, parliamo tanto di regole da cambiare, basterebbe con occhio distaccato guardare agli impianti della serie A per capire che mancano le fondamenta. Nel resto d’Europa (Spagna, Germania, Turchia, Francia) si costruiscono arene nuove, multitasking e dotate di tutti i servizi necessari a renderle “vive”. Anche nella vicina Capodistria si può ammirare la dignitosa Bonifika Arena, impianto da 5000 posti preposto ad ospitare svariati eventi sportivi e concerti musicali. In Italia invece si lavora in maniera incrementale, piccoli o medi interventi per mascherare architetture vetuste, anacronistiche, inadeguate. La massima serie ha ancora palazzetti come il Taliercio di Venezia (1981), il PalaRadi di Cremona (1980), il PalaBigi (1968 poi restaurato nel 2017) e lo storico hangar di Cantù, il Pianella (1974), oggetto ancora oggi di dibattito politico in brianza. Tutti dignitosi teatri per l’epoca, non certo arene di stampo moderno per il nuovo millennio. Anche chi ha provato a darsi un patina nuova, come Milano e il suo magnate Armani, lo ha fatto con crismi tipicamente “italioti”: capienza non adeguata alle regole dell’Eurolega, spesa che da una stima di partenza di 10 milioni di euro (7 stanziati dal Comune con l’allora sindaco Letizia Moratti e 3 di sponsorizzazione Armani) diventati nel tempo 18, l’Allianz Cloud così ha una veste polifunzionale ma limitata. Anche Bologna, sponda Virtus, sta cavalcando l’onda del momento positivo, proponendo un’arena da 20 mila posti in Fiera, dopo che la Unipol Arena di Casalecchio (ex PalaMalaguti 1003-2008, ex FuturShow 2008-2011) ha visto più trasformazioni e restyling che continuità d’utilizzo (almeno sul fronte pallacanestro). Chi “vive di rendita” per impianti costruiti scientemente e adattissimi per il basket sono il Madison di Piazzale Azzarita (1956 e ristrutturato nel 2000), il palasport di Masnago (1964) e il PalaVerde di Treviso (1983). Il Palaeur di Roma fa eccezione, in quanto architettura meravigliosa ma dannatamente dispersiva per un popolo capitolino troppo legato al calcio. Ristrutturazioni previste? Quella del PalaSerradimigni di Sassari sicuramente nel 2020, con ampliamento a 5.652 posti, per il resto tante diatribe politiche, dal già citato Pianella di Cantù al PalaPentassuglia di Brindisi. I più moderni quindi restano la BLM Group Arena di Trento (2000) e il pala Leonessa (restyling 2018), validi impianti che rimangono distanti anni luce da quelli visti in giro per l’Europa. E Trieste? Gongola sulla bellezza dell’Allianz Dome, non accorgendosi che il tempo (inaugurato nel 1999, iniziato nel 1994!) ha debilitato la struttura (diversi interventi di manutenzione negli anni), non è venuto incontro alle esigenze di renderlo polifunzionale, “vive” e “muore” nei quaranta minuti di una partita di basket. Tradotto: una spesa enorme.
Pubblicato il ottobre 27, 2019, in BASKET NAZIONALE E INTERNAZ., BASKET TRIESTINO, HighFive, News con tag Allianz Dome, Raffaele Baldini. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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