Una sedia di legno in un angolo, un omone in tuta, le Superga bianche e una guida illuminata. Addio a Piero Franceschini

Il Maestro Piero Franceschini ha scritto l’ultima pagina della sua illuminata esistenza su questa terra. Chiamarlo “professore” è sin troppo riduttivo, la retorica ingabbia qualcosa che è difficile da scrivere quando le sfumature diventano pennellate d’autore. C’è qualcosa di iconico nell’omone in tuta, con quel naso importante e dallo sguardo severo (ma buono) che sedeva sulla “carega de legno” in fondo alla palestra della storica Ginnastica Triestina, nel punto più lontano dall’ingresso, probabilmente per rifuggire a petulanti genitori distanti anni luce dal suo metodo educativo. Perché nell’essere istruttore-educatore vi era l’essenza rustica di messaggi elargiti ai propri ragazzi con autorevolezza, con “rumorosa fisicità” ma con il più alto livello di amore possibile. Le suole infinite delle sue Superga bianche hanno fatto giurisprudenza, terminali di sani calci nel sedere o quali oggetti non identificati lanciati a soggetti… ben identificati. Poi c’era il più classico “slang franceschiniano”, quello che, come in un quartiere newyorkese, era riconoscibile entrando nella palestra di Via Ginnastica; italiano misto al triestino, superbo utilizzo di metafore per far digerire il più classico dei “te son negado” oppure per catechizzare l’estroverso del gruppo. “Orecia”, “panocia”, “ciodo”, i soprannomi dati dal Maestro sono stati poi marchio di fabbrica per generazioni di cestisti, una sorta di investitura ad imperitura memoria per non dimenticare le origini (sia somatiche che cestistiche). Con Piero Franceschini muore una parte di poetica cestistica, un intreccio straordinario di luoghi (la palestra della SGT), di personaggi (il Maestro), di modi di educare alla vita, prima che allo sport, che oggi sarebbero banditi o al giudizio di legali istigati da genitori fragili. La disciplina scevra da dietrologie stupide, un modo istintivo di comunicare che è bagaglio intellettuale di grandi uomini, che non si studia sui libri o in qualche università, ma che è figlio di una sensibilità superiore. Con Franceschini muore una parte fondamentale dell’etica sportiva, quella che anteponeva il messaggio educativo, al risultato finale. Cosa ci resta ora? Una sedia di legno vuota e tarlata in quell’angolo della palestra della SGT, quelle scritte motivazionali sulle pareti, un parquet consumato dal tempo e un’infinità di ricordi che albergano nella nostra memoria di uomini e donne non più imberbi, e che sono e saranno le colonne portanti della nostra maturità.

Grazie di tutto Maestro!

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Pubblicato il dicembre 8, 2021, in BASKET TRIESTINO, HighFive, News con tag , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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