
Bicchiere mezzo pieno, quello mezzo vuoto… e quello da buttare giù tutto d’un sorso
Esiste una valutazione “a caldo” e poi esiste una valutazione da seduti, prendendo un bel respiro e con una “calcolatrice” a fianco. Partiamo dalla seconda, vestendo i panni impropri dei “commercialisti sportivi”: vinta la seconda partita, in trasferta, di 11 punti, senza Filloy e Vildera e con Reyes a mezzo servizio. Il problema è che lo sport, la pallacanestro nello specifico, non è scienza esatta, quindi è doveroso vestire i panni, molto più “crudi”, dell’analista. La squadra non ha un’identità, il paventato gioco “run and gun” al momento attuale è uno sterile gioco perimetrale, con troppi secondi con i giocatori con la palla in mano, con una telefonata (direi faxata) degli esterni al lungo di turno. Manca quindi ritmo, ma in primis nell’impostazione mentale, cioè nell’idea di far viaggiare la palla e le gambe in rapida transizione offensiva da rimbalzo; i playmaker invece non accelerano, gli esterni e le ali corricchiano pronti per giocare la pallacanestro a metà campo. Vero è che le squadre più qualitativamente strutturate spesso giocano a metà campo proprio per far valere la superiorità tecnica, però non possiamo prescindere dalla filosofia decantata da coach Christian in sede di preseason. Siamo ancora in fase di rodaggio? Può essere, ma c’è tempo ancora una partita per calibrarsi in vista della Fortitudo Bologna.
Il “tafazzismo” tutto triestino
La critica è doverosa e giusta, la provocazione con occhi spiritati…e perversione tipica triestina. Vi è la sensazione che molti trovino sadico gusto nell’affondare la lama su una creatura appena formata, come se portassero in dote un’acredine da retrocessione. Ci sta, il fastidio è un vestito sintetico ai 40 gradi estivi, non può essere cancellato con un colpo di spugna, soprattutto quando il calendario recita Orzinuovi, Chiusi, Nardò (con il massimo rispetto). Però chi siamo noi per avere la puzza sotto il naso? Non abbiamo 30 scudetti alle spalle e una permanenza fissa in Eurolega, siamo una dignitosa realtà italica che sgomita per raggiungere l’Olimpo; nella lotta ci sono anche palestre piccole, avversari più scorbutici che talentuosi, condizioni insolite da affrontare. Abbiamo MERITATO la seconda serie, abbiamo meritato la polvere, abbiamo meritato le sabbie mobili…ed ora dobbiamo uscirne con la volontà di tutti. Se pensi di uscire vivo dalla jungla con tacchi a spillo e vestito lungo hai sbagliato di grosso; serve una mimetica, l’indispensabile equipaggiamento e la consapevolezza di sporcarsi molto. Questa è la A2!
C’è del buono…
Dal bicchiere di cui sopra si può anche sorseggiare del buon vino. La Pallacanestro Trieste è una squadra che ha qualità nettamente superiore almeno rispetto alla metà delle contendenti. Questo fa si che ad ogni partita può ergersi uno o più protagonisti, togliendo punti di riferimento. La qualità si paga, e il mercato biancorosso è stato importante, sicuramente è un peccato non declinarla in una coralità che potrebbe essere dirompente.
Il pugno del KO di coach Christian
L’allenatore americano ha paragonato la sua squadra ad un pugile con la “mano di pietra”, capace di sferrare il pugno decisivo e di vincere il match. Vero, sicuramente le stoccate sono state talmente efficaci che non c’è stato bisogno di lavorare ai fianchi l’avversaria; ed è qui che nasce il problema, il lavoro ai fianchi nel primo tempo è stato nullo, forse ci sono stati più srotolamenti di tappeti rossi difensivi che reali ostacoli sul percorso della San Giobbe Chiusi. Se ci fermassimo al “pugno finale” faremmo un esercizio pericoloso perché, contro avversarie più blasonate, il +11 del primo tempo potrebbe dilatarsi, senza la benchè minima possibilità di recuperare. Una stagione da protagonisti vuol dire anche non sottovalutare le sfumature, soprattutto lavorare forte quando si vince perché è il miglior modo di limare le problematiche in corso. E soprattutto, una volta si è Nino Benvenuti e una volta si è Carlos Monzon!
Raffaele Baldini
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