
Siamo caduti… dalla scala
Ricordate quando dissi che Cantù era il primo possibile gradino di una possibile risalita (una scala lunghissima ndr.), che Agrigento era il secondo? Bene, siamo caduti per terra da lì, senza farci troppo male, anche perché visto l’andazzo stagionale, avevamo messo un materasso a fondo scala. Con Latina è andata in scena la peggiore delle rappresentazioni: atteggiamento da “che cazzo ce ne frega, tanto restiamo quinti” e mancata dignità personale. L’allenatore è un parafulmine talmente grande ormai da attirare anche i fulmini dalla Scandinavia, un coach dietro cui si nascondono rannicchiati tutti i giocatori, piccoli piccoli. Ribadisco quanto di inconsistente ci sia nella direzione tecnica (allargata agli assistenti ndr.), non tanto perché lo dice un signor nessuno come il sottoscritto, ma letta più e più volte nell’imbarazzo di addetti ai lavori che seguono la Pallacanestro Trieste. Giudicare tatticamente/tecnicamente coach Christian è un puro esercizio di stile, prendendo il raccordo anulare (per dirla alla Guzzanti nelle vesti di Venditti), arrivando a sfumare tutto con l’ottima educazione e gentilezza del suo porsi alla comunità di appassionati. Rispondo anche a qualche provocazione giunta dai social: c’è una bella differenza fra il far esporre una filosofia di pallacanestro e condividerla… medita gente, meditate.
35”
35 secondi, perfetta sintesi “messiniana” di quanto non ci sia nulla da dire. In questo senso condivido pienamente la scelta (?) societaria, per cui un bel tacere non fu mai scritto. 35 secondi non bastano a racchiudere gli improperi dei tifosi da casa, 35 secondi sono infinitesimali per le bestemmie di chi sotto l’egida della Curva Nord si è sorbito anche centinata di chilometri di trasferta. 35 secondi sono invece tantissimi per decretare un fallimento tecnico, a 360 gradi.
Una comunicazione degna della stagione in corso
Justin Reyes è ormai un’entità sacra, più venerata a priori che secondo “miracoli” avvenuti nei 28 metri di parquet. Luca Campogrande addirittura è un ologramma, cioè la rappresentazione 3D di un giocatore che durante la settimana corre, salta, tira e poi… sparisce la domenica. La comunicazione legata alla Pallacanestro Trieste pensa bene di non ragguagliare nessuno, una pretattica che sta dando frutti notevoli, una mancanza di rispetto verso chi lavora. Nell’anniversario dei 100 anni del grandissimo Aldo Giordani, questo freno alla divulgazione cestistica è quasi blasfemo, soprattutto perché non se ne capisce il senso. E anche questo lascia basiti, il nuovo corso americano era entrato nel contesto locale come una ventata di aria fresca, con un’impronta comunicativa importante. Dove è finito tutto questo?
Esiste un’espressione che prescinda dalla guida tecnica?
Torno alla questione di cui sopra. Nello sport europeo spesso, troppo spesso i giocatori si nascondono dietro il proprio allenatore. Lo stanno facendo i giocatori della Triestina, per cui di colpo, con Mister Bordin, non riescono a fare due passaggi di fila o un controllo che sia uno, lo fanno alla stessa maniera quella della Pallacanestro Trieste. Certamente un cestista non allineato con il proprio allenatore farà fatica, certamente un metodico non troverà la miglior espressione nel caos, ma esiste un modo per andare oltre. Giovanni Vildera ha dimostrato come si può fare, reagendo: espongo (e quindi sfogo) il mio disappunto, chiedo garanzie di minutaggio per dimostrare (ora come ora, nessuno ha questo problema), applico con coerenza e forza d’animo il mio basket. Un altro esempio? Roberto Prandin, lo mettete a giocare in qualsiasi contesto, sarà sempre un esempio d’applicazione, di orgoglio, di dignità professionale. Nell’attuale roster della Pallacanestro Trieste vedo tanta gente “accomodata”, prima nella testa e poi nelle gambe, al motto “ci alleniamo col sorriso…”.
Raffaele Baldini
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