La Pallacanestro Trieste è arrivata in finale, un risultato eccellente e in cui pochi credevano, il sottoscritto compreso. Spero però che con questo risultato si finisca con la stronzata di “salire sul carro…”, per due semplici motivi: il primo è che per esistere, il “carro dei vincitori” deve presupporre aver vinto qualcosa (e ancora non è stato vinto niente), il secondo è che qualsiasi soggetto dotato di minimo senso critico, qualora avesse in stagione regolare esaltato il rendimento della squadra o avesse presupposto un finale del genere, sarebbe stato portato via con la camicia di forza. Ricordo che lo sport è un organismo mutevole, che cambia secondo innumerevoli variabili, che a che fare con l’imponderabile o con situazioni figlie della forza o della fragilità umana. Se un ragazzino prende “4” in matematica ad inizio anno, non vuol dire che non possa, con dedizione e intelligenza, capire i propri errori e studiare un modo per recuperare. Principio fondamentale, se parametrato con lo sport di squadra, è il saper ascoltare. E’ quello che è stato fatto da Mike Arcieri ma soprattutto da Jamion Christian. Due persone intelligenti che, al di là di un’educazione che va ben oltre il limite umano, si son seduti sui “banchi di scuola” per capire questa materia così rognosa, la serie A2 italiana. Son passati per alcuni “4”, insufficienze salutari per il percorso di crescita generale. Coach Christian ha saputo ascoltare i leader del gruppo, quelli che hanno un vissuto nel mondo della pallacanestro italiana, quelli che hanno credibilità. Lo staff tecnico ha rivoltato come un calzino l’impianto tattico, partendo da Reyes numero “3”, tornando alla difesa di metà stagione, calibrando la condizione atletica alla perfezione per la post-season. Se le critiche, nelle persone intelligenti, sono la linfa per migliorarsi, allora i mesi consumati fra polemiche sono la fotosintesi clorofilliana di un fiore sbocciato nel momento giusto. Parlo per il sottoscritto, a differenza di sedicenti giornalisti vigliaccamente trincerati dietro il “leccaculismo” conveniente, il fatto di essere tacciato di incompetenza mi può andare bene, di incoerenza proprio non ha diritto di cittadinanza; giudico quello che vedo, mesi fa vedevo un’orrida pallacanestro, a prescindere dell’assenza di Justin Reyes o di Giovanni Vildera, vedevo un allenatore in forte difficoltà. Oggi vedo presenza mentale di tutti, vedo un linguaggio del corpo vivo e vedo una pallacanestro efficace, diretta benissimo da Jamion Christian. Basterà per battere Cantù o Udine in finale? Non lo so, di certo c’è un momento estatico da conservare, da vivere in città senza sciocche dietrologie e con l’entusiasmo dei 6000 di ieri sera. Perché, l’attesa della finale è di per sè l’essenza del piacere.

Raffaele Baldini

Lascia un commento