
Siamo dove volevamo essere
Essere fra le migliori 8 del girone di andata, l’accesso alle Final Eight di Torino con una giornata di anticipo, da neopromossi, è qualcosa che deve stare in copertina nell’analisi del giorno dopo. Ancora una volta Michael Arcieri e Paul Matiasic hanno avuto ragione, ancora una volta Jamion Christian segue le cadenze culinarie delle festività senza pagare dazio (vedi esonero), ancora una volta la perseveranza senza isterismi porta buoni frutti. Insomma, mentre mezza Trieste parla ancora di Justin Reyes, l’altra mezza invita ad una “grattata” nella chiesa famosa del centro città per gli infortuni plurimi, e poi leggi che c’è una accattivante gita da fare a metà Febbraio nella bella Torino per la Coppa Italia, lasciando davanti alla Tv nobili squadre come la Reyer Venezia o la Dinamo Sassari. Chissà perché questa volta c’è la sensazione di viaggiare con un fardello di ottimismo maggiore, differente a quanto fatto nelle ultime presenze alla kermesse, lasciando il pullman con il motore acceso per tornare a casa. Certamente si vince con rotazioni a 7/8 giocatori, ma un lungo affiancato a Johnson potrebbe veramente far svoltare la stagione in maniera decisa alla compagine di coach Christian.
Ad onor del vero…
Ho ascoltato la rovente sala stampa del patron Longobardi, così come ho visto il video accorpante tutte le soluzioni dubbie, o presunte tali, viste con l’ “occhio della madre”, cioè di casa Scafati. Sul punto focale, in cui il Presidente ha lanciato gli strali all’arbitro Gonella per il “challenge” ordinato a favore di Ross e contro Stewart, onestamente mi sento di condividere al 100% la scelta arbitrale. Per contro, posso dire che è un fischio coraggioso in un momento del genere, così come potevano essere fischiate un paio di infrazioni di passi ai giuliani. Altri “casi da moviola”? Certamente la dubbia palla recuperata da Valentine su Gray, un dubbio fallo in attacco su blocco in movimento di Ulaneo e poco altro, a meno che non si vadano a vivisezionare piccole “scaltrezze” fisiche, da ambo le parti. La realtà è molto più cruda e asciutta: si sono affrontate due formazioni senza tatticismi, senza coralità, senza difesa, a suon di talento offensivo; ha vinto Trieste perché ha svegliato Uthoff dal torpore e perché Valentine ha insaccato la tripla da casa sua, Scafati ha perso perché è mancato un jolly oltre ai fenomeni Gray e Stewart. Punto.
Sempre ad onor del vero è giusto ricordare al distratto presidente campano che la scorsa settimana, NESSUNO, e dico nessuno sul fronte societario giuliano ha commentato l’operato (rivedibile) della terna arbitrale, lasciando che lo facessero giornalisti e tifosi. Un dirigente, prima di accusare colleghi, dovrebbe avere l’accortezza di informarsi su come sono andate le cose.
Il talento, che cristallo delicato
Il talento, meravigliosa luce che scende su pochi eletti, che rende semplice qualcosa che per altri è improbo. E il talento può essere una zoccola tentatrice, ti circuisce facendoti credere che i tuoi super poter (offensivi) bastino, esalta l’autostima da rendere ognuno giustiziere auto eletto. Peccato che si giochi uno sport di squadra, dove le cinque dita unite formano un pugno, nettamente più efficace del singolo dito della mano. La Pallacanestro Trieste deve tornare a condividere il talento, a elargirlo in funzione del gruppo, magari anteponendo il sacrificio, primo presupposto per lo sguardo attento degli Dei del basket. La quintessenza della fusione perfetta fra talento e sacrificio è Jarrod Uthoff; 35 minuti da puntare dritto alla doccia post partita, numeri che manderebbero in analisi anche il più solido mental-coach. Con la consueta cocciuta, straordinaria abnegazione l’americano attende la partita… che prima o poi arriva in uomini di classe, ed ecco che il sacrificio poi torna con gli interessi il talento, facendo risorgere come un’Araba Fenice lui, ma soprattutto la sua Squadra!
Così è e se vi pare
Il “Piranda” certamente ha avuto un grado di chiaroveggenza allineato con la Pallacanestro Trieste “made in USA”. Al di là dei siparietti, dai contenuti ormai mistici, del fine settimana, con immagini di Reyes in canotta e pantaloncini d’ordinanza, la realtà dice che la squadra non è MAI stata al completo, che non ha quindi mai sfruttato il presunto (che non è tale ndr.) 6+6, faticando spesso ad avere il 5+5. Vige quindi la legge del campo, del collegamento 10 minuti prima (o in casa nel riscaldamento) con l’emozione di capire gli attori in scena. La domanda però sorge spontanea: c’è la reale volontà di fare un ulteriore salto di qualità? E questo ulteriore salto di qualità deve passare per forza per un giocatore da inserire nel roster?
Raffaele Baldini
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