
Discrasie
Purtroppo questa stagione è figlia di tante discrasie, di “cattive mescolanze” in origine che hanno generato meccanismi grippati. La madre di tutti gli equivoci è la retrocessione. Michael Arcieri era stato scelto a Gennaio, in tempi non sospetti, il progetto era “fotocopiare” la spumeggiante Varese, pur considerando che quell’esperimento sta diventando una rarità nel panorama europeo (vedi stagione attuale lombarda); allenatore americano, 6 americani a servizio, esaltati dai ritmi di allenamento non particolarmente massacranti, giochi di letture ideali per uomini di talento. Arriva l’inaspettata retrocessione ed ecco che tutto diventa inadeguato: Arcieri non conosce la categoria, l’allenatore americano è come un fabbro che deve riparare un impianto elettrico, la squadra viene formata con la banale equazione di trattenere i triestini, i “protagonisti” dell’annata in serie A e, per fortuna, l’uomo di fiducia che risponde al nome di Justin Reyes. Logica conseguenza, ma che non ha certezze in una palude come quella delle serie A2: coach Christian sembra il responsabile gite della parrocchia che affianca i militari in trincea, gli ex biancorossi sono appesantiti nella testa e nelle mani da una stagione fallimentare e i “vecchietti” di lusso fanno fatica con un fondo fisico/atletico non adeguato alla categoria. Si pensava che bastasse l’empatia o il “volemose bene” introiettato a generare sostanza, invece mancano le regole basiche: chiarezza tecnico/tattica, personalità e ritmo. Il più preoccupante disallineamento arriva dalla fase di apprendimento richiesta al coach, da Arcieri e società: i tempi non combaciano con le esigenze di calendario. Ci si proietta alla sfida infrasettimanale a Piacenza con sinistri presagi, poi il derby con Udine che potrebbe far esplodere l’ambiente; non c’è quindi tempo per cambiare e, qualora le cose malauguratamente dovessero andare male, la stagione per Trieste sarebbe praticamente finita ai primi di Novembre.
La qualità del gruppo
E’ abbastanza naturale che la proiezione del campo generi anche un mutamento sulla considerazione degli attori in canotta biancorossa. Da “squadra da battere”, Trieste sta diventando una compagine di dopolavoristi con Reyes uomo solo a cantare e portare la croce. La verità forse sta nel mezzo, nel senso che certamente il roster è nato “aspettando Godot”, con Ruzzier che sfoglia la margherita più folta del pianeta prima di confermare la presenza, con Brooks già preso. Indubbia la carta d’identità di Ferrero e Filloy, posto che Andrea Cinciarini a 37 anni predica ancora basket in Spagna; forse è il tipo utilizzo la chiave per garantirsi i servigi di uomini di assoluta qualità. Stessi dicasi per i “retrocessi”: Michele Ruzzier, anche per un sordo-cieco-muto, era considerato da tutti il miglior playmaker della categoria. Il soggetto non sta certo facendo troppo per scuotersi, a prescindere da coach Christian, di certo nessuno paventava una regressione come quella vista in queste prime battute stagionali. Giovanni Vildera è stato sfruttato a dovere per la prima volta a Verona, Luca Campogrande vive di minutaggi pregressi (ma perché?), Lodo Deangeli esprimerà questa pallacanestro “arrangiata” dalla serie A alla serie C2. Unico, fino a questo momento a garantire costanza e a rispondere a caratteristiche note, è Francesco Candussi. Ah si, Stefano Bossi? Rassicurati i parenti di Filloy per il rientro sul parquet del “gaucho”, preso atto delle assenze di Vildera a suo tempo, ora si rendono necessarie sedute supplementare da maghi e lettori di fondi di caffè per capire che caspita ha Stefano Bossi.
Allenamenti, si fatica o si “corricchia”?
Voci, sussurra, illazioni… le porte blindate del Palatrieste non permettono di capire che tipo di allenamenti vengono svolti sui 28 metri di parquet. E’ importante saperlo? Certo, perché l’eredità di quello che si vede domenicalmente è un qualcosa di molto simile a un gruppo che non ha ritmo, che non ha “fondo” atletico e che sostanzialmente non fatica troppo. Se il retaggio è sempre quello statunitense, purtroppo siamo di nuovo di fronte ad un equivoco: in NBA si allenano giocando, fanno 82 partite di preparazione per poi scatenare l’inferno ai playoff. Qua, ahimè, ogni partita è una sfida da “do or die”, non si può prescindere dal lavoro fatto in fase estiva, ma soprattutto dal lavoro duro settimanale. Sarei stato nettamente più tranquillo se avessero detto: “la stagione è lunghissima, abbiamo fatto un lavoro fisico/atletico per un rendimento in crescendo atto ad aver la migliore versione in Giugno”. Niente di tutto ciò è stato detto, anzi, nessuna parola sulla questione.
Mettere la faccia
Scontato? No, alla luce degli ultimi anni. Al di là dei contenuti, per cui ci sarebbe da parlare per un mesetto buono, Jamion Christian e Michael Arcieri mettono regolarmente la faccia nel pre, post partita. Abbiamo vissuto sale stampa deserte, abbiamo ascoltato i più improbabili depositari del verbo, ora abbiamo professionisti che perlomeno non schivano i problemi. Ribadisco, non sto parlando di quello che dicono a giustificazione del momento, parlo proprio di una responsabilità confermata dalla loro educata interlocuzione con giornalisti e tifosi. Speriamo non rimanga solo un esercizio di stile…
Raffaele Baldini
Lascia un commento