Allianz Trieste: è ora di uscire allo scoperto, non restare in trincea

Cosa resta del fine settimana delle Final Eight di Milano? Quella lieve insoddisfazione di chi beve un bicchiere di un buon fino senza averlo fatto decantare a sufficienza, quel retrogusto amaro di un’occasione persa.

Ho pensato molto nel week end, ho stancato il neurone, infastidito da un’emotività che portava istintivamente il pensiero a quella splendida cavalcata, stroncata in finale, della Vuelle Pesaro. Come ci fosse qualcosa che non mi convincesse del benevolo quadretto che si è dipinto sulla tappa lombarda dell’Allianz Trieste al Forum. Va bene, onore per il traguardo raggiunto, essere fra le migliori otto, con tutto quello che ha passato la truppa di coach Dalmasson (vedi CoVid-19) è indubbio merito; però poi bisogna sempre considerare che Trieste ha avuto un budget importante, ha costruito una squadra strutturata e che quindi non può nascondersi dietro ad un dito.

Ecco, quel dito che sembra gigantesco, grasso al punto di nascondere la “luce” dell’ambizione, che tiene in trincea tutti senza mai passare all’assalto. Ed è così che anche nel resto d’Italia l’etichetta dei “protagonisti per caso” viene appioppata alla squadra di Dalmasson sotto forma di ranking a ribasso ad inizio stagione, di sfavorita sempre e comunque, di pacca sulla spalla a fine partita. Forse la colpa è di tutti, ci siamo auto-anestetizzati dietro la filosofia conservativa della società, porto sicuro per i mari in burrasca del periodo, ma dannatamente piatta a livello motivazionale.

“L’obiettivo rimane la salvezza” è un mantra richiamato sempre e comunque, anche a due punti dall’obiettivo con 180 giornate di campionato da giocarsi. Siamo alla stregua dello studente medio, quello che può nella stessa maniera prendere “8” come “4”, e che si attesta regolarmente sul “6/7”. Nessuno che azzarda slanci per alzare l’asticella, come ha fatto Jasmin Repesa appena arrivato a Pesaro. L’ “orso” croato ha dal primo giorno esaltato il suo gruppo, quando aveva un quarantenne che tutti davano per bollito (Carlos Delfino ndr.), quando non aveva ancora Tyler Cain e quando Justin Robinson sembrava uno uscito dalla serie di “Willy, il Principe di Bel-Air”. Ha azzardato certo, probabilmente potrebbe pagare lo scotto più avanti, ma si è giocato le carte con entusiasmo (tanto non aveva niente da perdere), ha instillato convinzione nel gruppo, ha creato la mentalità. L’ha fatto dopo essere stato massacrato in finale, con dichiarazioni del tipo: “non sono contento, non mi piace perdere”.

Nessuno quindi parla di mercato o di interventi societari per rinforzare il roster, qui si parla di creare una identità forte, di uscire allo scoperto per dare un senso alle proprie ambizioni professionali. Marco Spissu ha alzato il livello della sua pallacanestro quando il Poz l’ha lanciato come play titolare, Stefano Tonut è diventato uno dei migliori giocatori italiani quando la Reyer ha costruito attorno a lui la squadra, Davide Alviti ha fatto il salto di qualità quando ha scelto Trieste perché Treviso non dava le garanzie volute. La vita di ognuno di noi è fatta di scelte, chi osa può arrivare alla vetta e godere di un panorama mozzafiato, chi si accontenta guarda la vetta dal basso, con qualche rimpianto.

Raffaele Baldini

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Pubblicato il febbraio 15, 2021, in BASKET NAZIONALE E INTERNAZ., BASKET TRIESTINO, HighFive, News con tag , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 2 commenti.

  1. Dell’operazione di Grazulis si sa qualcosa …

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