Giudizio Universale – Parte seconda

Parte prima

Parte seconda

Giocatori e la tesi di “Quelo”: “la risposta è dentro di te… ma è sbagliata” (cit.)

Vivisezionando il mercato degli ultimi anni, si potrebbe fare una lista piuttosto corposa di “improvvisati” della palla al cesto. Non vorrei entrare nelle pieghe tecniche dei singoli, ma come si son gestiti quelli scelti. Per spirito ecumenico bypasso la questione Fayne, lungo scelto per poi scaricarlo al… primo riscaldamento. A.J. Pacher è stato chiamato come collante fra nucleo italiano e quello americano, un “4” duttile (all’apparenza), di grande intelligenza ma che poi ha palesato fragilità fisica e mentale nel palcoscenico più nobile. Scelta risultata errata, scaricato presto, sostituito da un “5” mascherato da “4” come Terry a suon di dollaroni. Vedendo che l’arsenale offensivo del treccioluto era ridotto ad un raggio di 30 centimetri dal ferro, non si capisce la testarda perversione tattica di abbinarlo a Skylar Spencer, un altro che fuori dall’area era a suo agio come un gatto in tangenziale. Settimane per “staccarli”, punendo oltre misura Alessandro Lever (che un po’ ci ha messo del suo ndr.). La vicenda Frank Gaines è il trionfo del surrealismo biancorosso: cerchi di formare un roster equipollente, a trazione difensiva e senza prime donne… e ti trovi con un “cannibale” senza coscienza, che vede il gioco come un tennista e che comunque portava in dote 14 punti a partita. La minima dose di talento del gruppo (senza di lui) scende a livelli di speleologia cestistica. Indicata la porta, Gaines prende la via di fuga e la società entra in modalità “corteggiamento”: quel Jamarr Sanders da 5,3 punti a partita nell’ultima squadra della serie A. Un mese che avrebbe convinto anche la più rigida modella di Dior, finito invece nel nulla con la frettolosa scelta di Jalen Hudson, americano fuori forma e fotocopia magra di Bartley. L’ultima “perla” è il rigido credo legato al 5+5 con l’innesto del lettone Stumbris… con i risultati visibili a tutti. Possibile fare peggio? No.

Il campo e l’identità

Se vado a ritroso con la memoria, sicuro della fallacità della stessa, non ho impressa una vittoria o una partita, nella parte calda della stagione, in cui la squadra abbia dato dimostrazione di identità, di volontà coesa di superare un ostacolo. Ricordo una esaltante prestazione con quello che restava della Segafredo Bologna, figlia dell’estemporaneità dei singoli, e una vittoria della speranza con Verona grazie alla “luce” che ha rischiarato la via a Stefano Bossi e Luca Campogrande. Vendendo le contender di Trieste, TUTTE (forse Reggio Emilia l’unica ad avere picchi negativi) tutte, Verona compresa, hanno dimostrato una marea di volte di lottare, ben oltre i propri limiti, cercando con l’aiuto dei pochi talenti in squadra, col pubblico, con i coriandoli o con Paternicò, di abbrancare con famelica voglia la massima serie. La trasferta di Brindisi è il manifesto del tiepido senso di appartenenza; una partita giocata per dovere professionale, distratti e apatici, distaccati rispetto a quello che stava maturando sul parquet. Unico felice probabilmente Frank Bartley e la sua classifica cannonieri che varrà qualche decina di migliaia di euro in più nel prossimo contratto. Sappiamo quello che portano dentro Bossi, Ruzzier, Campogrande, Lever… purtroppo però non l’hanno declinato in senso cestistico.

L’insostenibile incertezza dell’essere

“Vediamo…”, “valutiamo…”,“stiamo lavorando…”, “aspettiamo…”, sono tutti verbi tratti dal vademecum del sior intento. La società ne ha attinto a piene mani, dal mese di corteggiamento a Sanders sino all’ultima traballante e poco convincente ipotesi di un ricorso sul caso Varese. Ruoli importanti, in campionati professionistici di rilievo, presuppongono (tradotto: vengono pagati) per avere tempi e decisionalità opportune. La fretta è cattiva consigliera, l’isteria non porta a nulla di sensato, l’emotività anticipa pericolosamente le mosse; fatto sta che l’attendismo non ha fatto che trascinare i problemi in seno alla squadra, e quando si son prese decisioni rapide…sono state sbagliate. Solo in una cosa c’è la solida convinzione: il fallimento è causato dalla sfiga, da presunti torti o da un libero sbagliato in più. C’è un problema di competenza abbinata ai ruoli, quella che abbina rapidità di testa con esecuzione tempestiva. E legato al modus operandi, chi controlla la competenza? Gli anni precedenti si giudicavano soli, adesso c’è un gruppo nuovo americano che ha come referenti… i reggenti societari. Non a caso, questa “immunità” ha omesso quello in sala stampa a Brindisi doveva essere detto: “abbiamo sbagliato”; senza contraddittorio non c’è crescita.

LBA, auguro tutta la credibilità del mondo

Ribadisco, per evitare equivoci: la Pallacanestro Trieste MERITA la serie A2. Per il bene del movimento, e quale amante dello sport più bello del mondo, proprio da una “piccionaia” di seconda serie, auspico un futuro più credibile per la LBA. La questione varesina, trattata a tarallucci e vino, con “influencer” che cercano di condizionare, tempi imbarazzanti e sentenze ancor più grottesche; l’anticipo della partita fra Napoli e Pesaro, anomalia che non ha condizionato l’esito ma che palesa la fragilità dell’impianto regolamentare. I fischi di Paternicò, il finale fra Scafati e Brindisi con bagarre finale, ultimi non ultimi i coriandoli con annesse bradipesche operazioni degli addetti alle pulizie per liberare il campo. Nulla è decisivo ma tutto mina la credibilità del movimento; finchè sussisteranno situazioni per cui in certi campi è difficile giocare a basket o evidenti presenze figli e figliastri nel panorama nazionale, la pallacanestro italiana rimarrà nella preistoria.

(fine parte seconda)

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Pubblicato il Maggio 9, 2023, in BASKET NAZIONALE E INTERNAZ., BASKET TRIESTINO, HighFive, News con tag , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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