Una Supercoppa da… psicoanalisi

La Supercoppa doveva essere una sorta di riscontro pratico del lavoro svolto. Risultato? Ci si capisce meno di prima, grazie anche al rendimento diametralmente opposto della squadra di Dalmasson fra le prime tre uscite e le ultime tre. Partiamo dal fondo: la sconfitta delle Reyer Venezia a Treviso schiudeva una occasione più unica che rara di presenziare alle Final4, nobilissimo palcoscenico con le migliori d’Italia. Sarebbe stato anche un piccolo segno di riconoscenza mediatica verso il marchio Allianz. Nessuno, eccetto staff medico e tecnico, ha idea del reale problema che ha afflitto Myke Henry e Andrejs Grazulis, per cui è doveroso pensare che ci sia stata una linea di coerenza rispetto a quanto dichiarato prima di partecipare alla Supercoppa: “parteciperemo con il chiaro obiettivo di lavorare in funzione della prima di campionato.” Purtroppo quella discriminante non fa giurisprudenza; la squadra è arrivata al giro di boa senza benzina, incomprensibilmente senza “fame”, svogliata. Cosa è successo?

Vagliando tutte le possibilità, si fa fatica a tracciare un quadro coerente che supporti una tesi. Preparazione in vista del campionato che appesantisce i giocatori? No, altrimenti avremmo assistito al più classico crescendo di ogni pre-season, non un inizio folgorante con crollo finale.

Si è considerata la Supercoppa come un “male necessario”? Non sarebbe accettabile da chi ha un palcoscenico per mettersi in mostra, ha un nome come Allianz sulla canotta e soprattutto ha un’opportunità per convincere lo staff tecnico in proiezione campionato. Non solo, dalle parole dello stesso coach Dalmasson post Trento e prima di Treviso, si era capito che lo staff tecnico esigeva una reazione, e anche convinta, del gruppo.

Ed in ultima analisi: cosa è successo dal punto di vista tattico? La squadra nelle prime tre uscite eseguiva, aveva un bilanciamento perfetto fra gioco esterno ed interno, spaziature da manuale. Dal punto di vista difensivo era aggressiva, coesa. Nel trittico finale si è vista una squadra involuta, impigrita sul consueto passing-game fra esterni con tiro da tre punti obbligato, togliendo profondità al gioco. Certo, con il reparto lunghi così fragile, nessuno si sognerebbe di basare la fase offensiva su Upson-Udanoh, ma è necessità tattica per muovere le difese. Come è possibile cambiare così radicalmente è materiale da psico-analisi.

E adesso? Bel problema. La Supercoppa lascia come eredità 100 dubbi in più rispetto alle corse di preparazione al “Grezar”. Coach Ciani dice che ci sono due settimane per “riprendere a costruire”, tante se la base è quella delle prime tre partite, pochissime se è il nulla visto nelle ultime tre. Soprattutto bisogna cambiare la testa dei giocatori, perché se alle prime difficoltà di pre-season palesano questa fragilità caratteriale, allora il campionato potrebbe essere un incubo dal peso specifico troppo alto.

Per chi osserva la creatura evolvere nel tempo lo sforzo dovrà essere quello di riequilibrare il proprio giudizio, asciugarlo rispetto all’emotività del vissuto in vista del campionato. Perché lo sport ha un difetto grave, quello della memoria corta in chi lo vive. Anche perché, tornando a quanto sopra esposto, l’obiettivo dichiarato è stato e rimarrà sempre arrivare pronti alla prima contro Cremona.

Fino a che un uomo non è condannato in via definitiva, è innocente.

Raffaele Baldini

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Pubblicato il settembre 16, 2020, in BASKET NAZIONALE E INTERNAZ., BASKET TRIESTINO, HighFive, News con tag , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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