Analisi dopo gara 1-2: quaranta minuti per dare un senso
Encefalogramma piatto
Sempre e comunque con quel fatalismo incorreggibile, con l’ineluttabile destino scritto a priori, l’Allianz Trieste si lascia trascinare dai flutti senza dare una pagaiata contro corrente. Allora tutto diventa inevitabile, ascrivendo a “cazzate” le pungolature esterne per elevare l’ambizione, anteponendo il risultato di ieri (salvezza ndr.) a quello di domani, soprattutto mostrando un linguaggio del corpo sul parquet per cui Ismay (progettista del Titanic e uno dei più grandi “deboli” della storia ndr.) è un “Braveheart” in confronto. La sfida fra Brindisi e Trieste è come un dibattito a “Porta a Porta” fra Nietzsche e Fracchia, in cui il secondo dietro la porta del megadirettore, sottovoce, cerca di far valere le proprie ragioni. Che l’Happy Casa sia più forte dell’Allianz lo capirebbe anche uno stolto, il problema è che nella equipollenza del budget delle due società, permette alla critica di marcare con più forza aspetti decisivi che determinano una sproporzione di forza sul campo. Sono riusciti anche a dimostrare indolenza anche nel produrre una delle più rivedibili magliette celebrative dei Playoff.
Un aspetto positivo c’è
Senza ironia, le due partite playoff giocate a Brindisi portano in eredità un aspetto molto positivo. La rappresentazione sul parquet della squadra, ma soprattutto dei singoli protagonisti, dimostrano cristallinamente che per la prossima stagione è necessario fare un repulisti tecnico. Americani di mediocre livello, fragili mentalmente, discontinui. Italiani non all’altezza o alla fine di un ciclo virtuoso, rimarchevole, degno di essere ricordato. Quindi da chi ripartire? Fernandez, Grazulis, Alviti (sempre che non sia attratto dalle sirene bresciane), forse Delia; dico forse perché l’argentino ha qualità tecniche indiscutibili ma la pallacanestro moderna richiede atletismo e potenza, purtroppo non presenti nel bagaglio del lungo. Inoltre è un giocatore costoso. Per chi verrà, quasi sicuramente Franco Ciani alla guida, l’esigenza di sbagliare meno, soprattutto sul fronte esotico, magari facendosi affiancare da un General Manager con capacità di scegliere i giocatori.
Myke Henry da guardia
I tre falli di Milton Doyle hanno costretto coach Dalmasson a schierare un quintetto atipico con Myke Henry da guardia e Alviti da numero “3”. Risultato? Henry a momenti non si ricordava come si chiamasse, e nel dubbio la parola d’ordine è stata “sparare da tre punti come non ci fosse un domani”. Esperimento fallito senza “se” e senza “ma”, e forse non è da esagerare nel dare la croce addosso ad un americano che non ha mai giocato in quel ruolo. Rimane il fatto che ci sono aspetti del gioco che esulano dalle caratteristiche tecniche del singolo, anche da un pallone che entra ed esce, e sono ascrivibili alla capacità di interpretare la partita; Myke Henry, anche da guardia, poteva attaccare di più il ferro, cercarsi dei falli, soprattutto poteva farlo non con un atteggiamento da personal-shopper in Via Montenapoleone, bensì come un cazzuto “fighter”.
Gara 3
Se ci fossero stati i 6000 consueti dell’Allianz Dome, ci sarebbero state 6000 spugne gettate sul ring…pardon, sul parquet. Ma non perché il tifoso è animato da pessimismo cosmico (oddio, latente, ma c’è), perché fa troppo male vedere una “esecuzione” di queste proporzioni. Non potendo agire per conto della squadra, la sensazione è di un animale in gabbia, acuita dagli obblighi sanitari; si registrano salotti distrutti, televisori sfondati da posa-cenere, o nel caso dei più razionali, cambi di canale…a costo di guardare “Soliti ignoti” (ecco, mai così azzeccato il nome della trasmissione). L’Auspicio è che gara 3 diventi, a prescindere dalla vittoria o dalla sconfitta, un senso per dare credibilità al settimo posto stagionale, alla possibile ultima partita di Eugenio Dalmasson, al possibile meraviglioso ciclo che si va chiudendo.
Raffaele Baldini
Pubblicato il Maggio 15, 2021, in BASKET NAZIONALE E INTERNAZ., BASKET TRIESTINO, HighFive, News con tag Allianz Trieste, Analisi giorno dopo, Happy Casa Brindisi, Raffaele Baldini. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.
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