Analisi del giorno dopo: Supercoppa destabilizzante, regia, spaziature e il ritorno del pubblico

Mi arrendo…

“Maledetta” Supercoppa. Tutto ed il contrario di tutto per lasciare con un punto interrogativo grande come una casa. Il bello e il brutto dello sport è l’anima mutevole che cambia al variare di qualche situazione, anche impercettibile. Le 48 ore fra Trento e Trieste continuano a connotare un percorso fisiologico, fatto di errori, di rendimenti diametralmente opposti, di conferme e smentite al batter di ciglia. Quindi? Dobbiamo per forza parlare del contesto stretto di una partita, ben sapendo che la sentenza dovrà arrivare più in là. Era evidente che coach Ramondino (per il sottoscritto fra i primi tre allenatori più preparati d’Italia) avrebbe studiato l’Allianz anche nell’allaccio di scarpe, tanto che tutti i movimenti sono stati letti con una mezz’oretta di anticipo e tutte le peculiarità dei singoli smorzate da una difesa competente (e a conoscenza). Era altresì palese che Trieste avrebbe avuto nelle gambe le scorie di una partita giocata due giorni prima, con tutto quello che ne consegue per la lucidità mentale e fisica.

La regia vuol dire tanto, tantissimo

A qualcuno non piace la “minestra riscaldata”, a me tanto e soprattutto funzionale al fatto che sono in dieta. Chris Wright non riesco a farmelo passare indifferente: esordio stagionale (quindi con pochi allenamenti nelle gambe) facendo sempre la cosa giusta, avendo una leadership che arriva fino in “piccionaia”, usando il fisico con maestria e avendo i tempi giusti in regia. Per contro la “stanza dei bottoni” biancorossa è stata caratterizzata da un Sanders poco incisivo, sempre rinunciatario a spingere sui 28 metri creando possibili transizioni rapide (stanchezza?), poco costruttivo per i compagni e spesso costretto a tirare più che portato a tirare. L’alter ego Juan Fernandez è in piena preseason, il suo basket cadenzato è più quello di una guardia prestato al ruolo di play, non può avere l’efficacia “spacca-caviglie” dei cambi di direzione quando le gambe rispondono a dovere.

Spaziature e congestioni

Una rappresentazione offensiva diametralmente opposta fra Tortona e Trieste. La squadra di coach Ramondino ha evidenziato un gioco corale fatto di spaziature degne, di ribaltamenti di palla per muovere la difesa e di individualità pensanti che hanno creato sempre vantaggi. Sanders e soci invece hanno creato orrende spaziature, con tre giocatori a distanza di un metro, agevolando la difesa oltre ogni modo. Non solo, l’ingresso ai giochi è stato lento, leggibile, con passaggi spesso calibrati male. Tutto quello che è approssimazione rende semplificato il lavoro di fatica avversario; approssimazione però che è sempre figlia del momento di preparazione e della stanchezza pregressa. Niente panico.

Rivedere e risentire il pubblico, che musica!

Si è tanto parlato in sede di presentazione su quanto fosse stata tiepida la corsa al biglietto dei tifosi triestini al vernissage Allianz al Dome. In realtà si è tornati a vedere la fila fuori del palazzo e il numero di spettatori era superiore a qualsiasi altra piazza della serie A; questo è insindacabile. Certo, la società non dovrà trascurare quelle che sono le “catene” che hanno ancorato tutti gli appassionati al divano di casa prima, obbligati a “lasciapassare” sanitari ed autocertificazioni, mascherati. La curva emotiva ha avuto un flesso negativo importante, l’anestetica versione sportiva vissuta alla televisione sopisce un po’ tutti gli istinti primordiali della presenza in arena. Servirà quindi che in primis la squadra coinvolga con il gioco la propria gente, poi che la società non dia per scontato quello che scontato non è. Lo sport professionistico è fatto di bilanci, di economie, di burocrazia…ma soprattutto è una leva fondamentale nel vissuto della gente. Deve EMOZIONARE, COINVOLGENDO.

Raffaele Baldini

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Pubblicato il settembre 7, 2021, in BASKET NAZIONALE E INTERNAZ., BASKET TRIESTINO, HighFive, News con tag , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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